«Una targa in suo onore in un’aula studio magari invoglierà qualche giovane a scoprire chi era». «Non ho idea se avrei fatto politica senza il suo assassinio». «Il civismo non deve pensare a un ruolo nazionale, ma a fare bene nei Comuni»

2016-09-30

Dallo scorso giovedì l’aula studenti del centro culturale Verdi di via XXV Aprile è intitolata alla memoria di Giorgio Ambrosoli, assassinato l’11 luglio 1979 da un sicario reclutato dal banchiere siciliano Michele Sindona, sulle cui attività stava indagando nell’ambito dell’incarico affidatogli dalla Banca d’Italia di commissario liquidatore della Banca Privata Italiana. La sola colpa di Ambrosoli era stata quella di non piegarsi alle numerose pressioni e tentativi di corruzione per fargli coprire le malefatte di Sindona. E a presenziare alla cerimonia c’erano la moglie Anna e il figlio Umberto, attualmente capogruppo in Regione di Patto Civico. Il suo intervento ha coinvolto i numerosi presenti che l’hanno ascoltato con grande attenzione. Tra loro anche l’ex sindaco Bruno Colle con il quale ha avuto anche un’interessante disquisizione politica. Al termine della quale si è prestato a rispondere ad alcune nostre domande. Ne è nata un’intervista-chiacchierata.
Che sensazioni si provano nel vedere che a distanza di 37 anni da quel tragico evento ci siano ancora iniziative in memoria di suo padre?
«Direi che dentro di me convivono emozioni contrastanti. Da un lato è molto bello pensare che ci saranno giovani che andranno a studiare in quest’aula e magari guardando la targa vorranno informarsi su chi era mio padre e cosa ha fatto nella sua vita. Dall’altro lato è indice di difficoltà nel trovare esempi di persone che compiono il loro dovere nel presente in modo tale da meritare certi riconoscimenti».
Se le chiedessi il primo ricordo che le viene in mente di suo padre cosa mi risponderebbe?
«No, non riuscirei a dare una risposta precisa a questa domanda. Ho tanti ricordi belli dentro di me nei pochi anni che ho avuto la fortuna di vivere insieme a lui. Poi quando si è piccoli come ero allora, la memoria talvolta gioca strani scherzi. Io ricordo però nitidamente una persona serena, impegnata e presente. Tre aggettivi che se confrontati con la vita che lui conduceva diventano quasi impensabili».
Se non fosse accaduto questo triste episodio nella sua vita, lei farebbe politica lo stesso o sarebbe solo un avvocato?
«Anche qui non credo di avere una risposta. La vita è formata da un insieme di esperienze ed è difficile per me provare a immaginare come sarebbe stata la mia  togliendo un episodio che mi ha segnato così profondamente. Dico davvero: onestamente non mi sono mai posto questa domanda».
Nel suo intervento durante la cerimonia di commemorazione nei confronti di suo padre ha rivendicato l’importanza delle liste civiche, ma ha detto che non hanno senso in una prospettiva nazionale. Non pensa che se il Movimento Cinque Stelle è riuscito ad avere questo ampio consenso potreste riuscire anche voi civici?
«No, proprio no. Loro sono appunto un movimento e come tale sono strutturati. A livello nazionale non vedo l’esigenza di un movimento civico e non vedo la necessità di ampliare ulteriormente la platea dei concorrenti politici. Molto meglio lavorare a livello locale e regionale».
Lei scrive anche libri e proprio in questi giorni ne sta promuovendo due. Per lei cosa significa scrivere? È un momento di relax, di riflessione o cos’altro?
«Per me è un momento per mettere ordine nelle tante cose che sviluppo e so che ne ho la necessità. E poi scrivo concetti che magari possono essere d’aiuto e spunto di riflessione per chi li legge. Persone che non hanno avuto la possibilità di vivere il mio stesso percorso».
Per lei Paolo Micheli è il sindaco di Segrate, un ex consigliere regionale oppure un amico?
«Prima dell’esperienza della campagna elettorale regionale non conoscevo Paolo. Una mia amica mi disse che dovevo assolutamente conoscerlo e mi ricordo che quando le dissi “va bene” lui era in viaggio di nozze in Australia. Poi però, per fortuna, ho avuto modo di incontrarlo e ne sono stato colpito positivamente. Ho visto una persona con un forte entusiasmo e con una grande passione per quello che fa. E poi ha quel suo modo di lanciarsi nelle avventure che è un po’ incosciente, ma è anche la sua forza».
Nel senso?
«Basti pensare a quando ha deciso di candidarsi sindaco a Segrate. Ammettiamolo: aveva davvero poche possibilità. Però si è impegnato anima e corpo in questo progetto perché ci credeva davvero».
E quando ha vinto? La prima sensazione è stata di felicità per lui oppure ha pensato: ho perso un buon consigliere regionale?
«Sono subito stato contento per lui. Perché come sindaco può fare molto e bene rispetto a come è strutturato il ruolo di consigliere regionale di opposizione in questo momento. Segrate è governata da un buon sindaco, che è cosa più utile di essere un buon consigliere al Pirellone».
Tra poco terminerà la sua esperienza in Regione. Ha già idea di cosa vuole fare? Si ricandiderà?
«Come ho sempre detto non sono un fautore della politica come professione anche se riconosco l’importanza dell’esperienza anche in questo campo. Si può servire la collettività in tantissimi modi, non solo con la politica. Affronterò le occasioni che si prospetteranno con la stessa serietà di sempre».
Insomma non ci dice cosa vorrebbe per il suo futuro?
(sorride) «Incrociamo le dita, dai».